Napoli-Torino avrebbe potuto rilanciare ancora di più gli azzurri in classifica approfittando di un weekend ricco di scontri diretti consegnando però ai tifosi la consueta gara bloccata contro le squadre di Juric con la beffa del gol subito.
Tutto come era previsto. Forse anche il risultato ma si sa, quando si è innamorati il cuore si getta ben oltre l’ostacolo immaginando scenari forse irrealistici. Eppure Napoli-Torino avrebbe potuto registrare tranquillamente la vittoria degli azzurri al Maradona perché le occasioni offensive create sono state davvero tante, come spesso accade però, non capitalizzate al meglio. Grandi cambiamenti ci sono stati, così come un passettino in avanti in quanto al gioco che vuole esprimere il neo tecnico Calzona. Palleggio rapido ma non ancora sempre preciso ed efficace, reparti compatti che si sono allungati solo al quarto d’ora della ripresa creando una ricca fase di caos da ambo le parti, attacco molto più prolifico e idee chiare. Insomma, questo Napoli pian piano sta ritornando una copia simile a se stesso, non ancora l’originale ma molto somigliante alla sua migliore espressione.
E allora, cos’è che è andato storto? I momenti da migliorare possono essere in particolar modo due. Del primo avevamo parlato proprio qualche giorno fa su queste pagine e riguarda la mancanza di concretezza dai calci da fermo. In una gara come quella di ieri, così come avevamo già previsto, concretizzare i tantissimi calci d’angolo conquistati così come le punizioni o eventualmente un rigore, avrebbe sicuramente sbloccato la situazione e messo il risultato in una condizione di forza e tranquillità. Ogni traiettoria dalla bandiera porta o a un traversone troppo lungo o alla ribattuta degli avversari, in particolar modo quando in area si hanno colossi come Rodriguez o Buongiorno. Stessa situazione che molto probabilmente capiterà contro il Barcellona e ancor più contro l’Inter, che vanta una difesa esperta, rocciosa e fisicamente prestante.
In secondo luogo, la gestione dei momenti. Questo Napoli per tornare una macchina da guerra perfetta ha bisogno di concentrazione e di diminuire al lumicino errori e sbavature. Anche perché mentalmente, una squadra avversaria che sa che se preme sull’acceleratore può causare un danno demotivando fortemente chi ha di fronte, ci prova con ancor più veemenza. Gli azzurri devono mostrarsi tignosi, compatti, impenetrabili, mantenendo grande concentrazione per tutta la partita. Spazzando fuori quando necessario, cercando la giocata semplice quando si è in difficoltà, chiamando l’uomo al compagno di spalle, insomma, aiutandosi a vicenda. Questo è venuto a mancare in numerosi frangenti come quello del gol subito da Sanabria, non solo un numero balistico incredibile per l’attaccante appena entrato in campo ma figlio anche di una serie di rimpalli abbastanza sfortunati da parte dei partenopei.
Un altro problema da risolvere è la testa troppo ricca di pensieri di alcuni giocatori: in campo c’è chi lotta, chi cammina, chi non si arrende e chi passeggia, non dando mai continuità nelle prestazioni collezionate.
Tra le problematiche da risolvere in casa azzurra e che ben sono emerse in Napoli-Torino, è la disparità di prestazioni dei singoli. C’è il team “fino all’ultima goccia di sudore”, capeggiato da Victor Osimhen e Khvicha Kvaratkshelia con special guest Mario Rui. Parlando proprio del 6 partenopeo, è un ottimo esempio di professionista da perseguire: nonostante Calzona preferisca palesemente Olivera, dà sempre il massimo quando chiamato in causa, pennellando un cross-assist meraviglioso per la rete, bellissima, del vantaggio del 77 georgiano. Ancora capitan Di Lorenzo che è veramente stremato, stanco eppure è lì, sulla fascia a macinare chilometri, giocate, concentrato nella doppia fase difensiva e offensiva, senza arrendersi mai e provando all’occorrenza, una, due, tre, quattro, cinque, sei volte anche il tiro. Poi Lobotka, motorino cerebrale del centrocampo, pronto a smistare, riordinare, pulire, innescare. In questa lista inseriamo anche la difesa e Meret che orfani puntualmente di qualche pedina, al netto dei propri limiti vuole sempre superarli agendo d’insieme per colmare il gap.
Al contrario, vi è il team “passeggiando con la valigia pronta”, con quelle pedine che proprio non reggono più il peso dell’azzurro. Colui che ne è massimo rappresentante è Piotr Zielinski, che ahimè in campo si trascina, vagando senza una meta, con pochissimi lampi di genio che attestano la sua enorme classe. Piange il cuore che questa fantastica storia d’amore sia andata a finire così, da quella splendida esultanza con le braccia al cielo lasciandosi cadere per terra dello scorso anno a Torino contro la Juventus, fino agli occhi spenti di chi ha la testa altrove…precisamente a Milano, sponda nerazzurra. Stessa situazione anche per Anguissa, che dopo la Coppa d’Africa è tornato a sua detta frustrato per l’eliminazione a anche spento, demotivato, stanco, eppure imprescindibile tra campionato e Champions con numerose defezioni, fuori rosa e lungodegenti. Toccherà a Calzona lavorare anche sulla mente dei calciatori e cercare di ottenere il massimo in questo rush finale, soprattutto in questa settimana ricca di big match e di esami di maturità molto importanti.